Davide Galli

vita 2.0:
abitare e lavorare nell'appennino

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LIBERTÀ: Tendenze ha 15 anni: «Una scommessa vinta»

Un’intervista tripla per i 15 anni di Tendenze.
Con la sua 16ª edizione - che si apre stasera in anteprima al Caffè Baciccia ed entra nel vivo da domani nella sua nuova casa, lo Spazio4 - il più longevo e tra i più importanti festival rock orientati alla musica indipendente soffia su tre lustri di candeline.
Di acqua sotto i ponti ne è passata, ’95-2010 non è uno scherzetto. Le sue radici affondano in un tempo che sembra “una vita fa”, eppure continua a confermarsi come un appuntamento irrinunciabile per gli appassionati di musica rock e per tutti gli artisti di Piacenza e delle province circostanti, un evento di livello, una fucina di idee, emergenze creative e stimoli musical-culturali dei più disparati.
Dal vallo di Porta Borghetto a via Millo, dalla Taverna delle Fate alla Cavallerizza, oltre 400 band si sono esibite di fronte a migliaia di persone, scrivendo la storia di una manifestazione peculiare, degna di un grande futuro.
Ne abbiamo parlato coi suoi papà naturali e con quello adottivo: Antonio “Tony Face” Bacciocchi e Davide Galli, che l’hanno condotto per 10 edizioni (’95-2004), e Nicola Curtarelli, presidente di associazione 29Cento Factory, che con Arci ne ha rilevato il testimone nel 2005.


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Cos’era “Tendenze” nel ’95 e cosa è oggi?
DG «Il nome iniziale era Chi c’è c’è e il sottotitolo Chi non c’è non c’è (dalla canzone A tratti dei CSI), che per noi era tutto un programma. Fu prima un sondaggio, un conteggio di cantine e garage rumorosi avvallato dall’assessorato alla cultura di Vittorio Anelli (giunta Vaciago): tornarono oltre 80 schede compilate e arrivò il via libera. Ottimo metodo, quello di non calare dall’alto le soluzioni ma farle emergere dalle esigenze. Così entrò in campo l’Ufficio Cultura di Massimo Tirotti, cui si deve l’invenzione del nome Tendenze. Le prime edizioni erano organizzate in staff con l’Ufficio Cultura, con noi in qualità di tecnici: Bacciocchi e Giancarlo Rossi come Audiar per la parte musicale e tecnica, io per la comunicazione e gli allestimenti, e il Comune per la parte organizzativa. Dobbiamo ricordare obbligatoriamente Rossella Villani, Daniela Tagliaferri e Tiziana Tonoli. Solo nel ‘99 venne fondata la società Net Weight, che ha avuto diversi soci negli anni, tra cui me e Bacciocchi sempre presenti, e che grazie a una struttura permanente trasformò definitivamente Tendenze in una rete di eventi per tutto l’anno».
AB «Tendenze fu una scommessa. Eravamo convinti di dover dare spazio e voce a un sottobosco vivo e pulsante che da anni non poteva esprimersi. Per fortuna trovammo corrispondenza nella giunta comunale e una risposta eclatante da pubblico, musicisti e artisti. Oggi ne è la naturale evoluzione e si rinnova, sperimentando cose nuove e proposte al passo coi tempi».
NC «Abbiamo “studiato” il festival e le sue radici per capirne a fondo il senso, imponendoci una sorta di rispetto verso ciò che era stato fatto. Oggi Tendenze è sorprendentemente più vivo che mai: mi stupisce sentire band giovanissime parlare di questa manifestazione come del più grande traguardo locale, vuol dire che oggi come allora Tendenze è un riferimento nell’immaginario del musicista “originale”. E’ rincuorante, così come il rapporto con le istituzioni e l’assessorato alle politiche giovanili, attentissimi a sostenere la manifestazione nel migliore dei modi».

Cosa mancava a Tendenze allora, e cosa oggi? Cosa aveva in più allora e non oggi, e viceversa?
DG: «Oggi come allora manca il salto di qualità, che abbiamo tentato in tutti i modi sia noi che 29Cento col superamento della dimensione provinciale. Non tanto nella proposta, che con gli ospiti di qualità è stata spesso ottima e appetibile, quanto nel pubblico. E’ Piacenza stessa che con la sua sindrome da nanismo tende a non essere considerata. Me ne accorgo ora che abito in un’altra provincia e ho a che fare con gente di tutt’Italia: Piacenza è una realtà sottovalutata da tutti i punti di vista, ma prima di accusare “gli altri” sarebbe bene fare una sana autocritica. In più rispetto ad adesso le prime edizioni avevano la motivazione di fondo e il contesto. Uscivamo dagli anni ‘80 con le ossa rotte ma circondati da gente consapevole di essere i tantissimi “diversi” a cui davamo uno spazio antagonista alla cultura delle musica commerciale. Tra fine ‘80 e primi ‘90 c’erano state molte iniziative musicali alternative cui io e Tony avevamo partecipato a vario titolo e di cui Tendenze raccolse il testimone, rilanciando quello che di fatto era un movimento.
Oggi in più ci sono strutture, occasioni e gli spazi che l’organizzazione attuale ha saputo ottenere. Un merito enorme che involontariamente può diventare un limite: la pappa pronta ha tolto forse un po’ di motivazione ai gruppi».
AB: «Allora mancava un po’ di esperienza, sopperita da entusiasmo e passione. Oggi mancano i dovuti finanziamenti, limitati da una politica di governo nazionale che non ha cultura ed educazione tra le sue priorità. E purtroppo quando i fondi sono limitati, con tutta la buona volontà degli attuali assessorati, amministrazione e organizzatori, ci si deve arrangiare, ma i risultati sono ugualmente eccellenti».
NC: «Colsi da sempre l’importanza culturale ed aggregativa di Tendenze. Non una semplice rassegna, ma una boccata d’aria in mezzo al nulla. Proprio in questa sua “esclusività” si nasconde la marcia in più che aveva in passato: volevi suonare? Dovevi aspettare Tendenze. Un bonus lungo un anno da giocarsi bene. Da questo presupposto nasceva una maggior attenzione delle e verso le band e una più significativa affluenza di pubblico.
Purtroppo le band oggi spesso non sanno gestirsi perché, contrariamente a quanto sostengono, hanno tante possibilità per esibirsi. Troppe e di bassa qualità, e finiscono per svalorizzare e inflazionare la loro proposta.
Un’altra cosa che mancava al “nuovo” Tendenze era una location che fosse sua e nostra: ora con Spazio4 crediamo di aver trovato la giusta collocazione che ci permetterà di far crescere a dovere la manifestazione».

Come si è evoluta la scena musicale piacentina in questi tre lustri?

DG: «Ho visto crescere notevolmente la qualità tecnica e il costo degli strumenti che sono sui palchi. C’è un atteggiamento serio e molta consapevolezza.
Ho visto invece scendere l’originalità delle proposte, notando nelle ultime edizioni qualche (ineccepibile) scimmiottamento di troppo».
AB: «Suono da più di 30 anni e anagraficamente ho una visione privilegiata di come sono cambiate le cose: ora hanno tutti una tecnica invidiabile ma che spesso copre spontaneità, passione e approccio sincero. In molti eseguono alla perfezione il compito prefissato e maturato da mesi di sala prove, ma poi non
resta nulla. Io mantengo un approccio “punk” alla musica, preferisco un concerto tecnicamente incerto ma dove si “sente” un’attitudine sincera e vera ad esecuzioni impeccabili senza cuore né anima. Da batterista ho sempre odiato e mal sopportato andare a tempo giusto».
NC: «Più tecnica, meno attitudine e personalità. Da un paio d’anni a questa parte si sono rifatte sotto le cover band dopo un periodo di “saturazione” e anche i ragazzini stanno seguendo l’onda. E chi fa musica originale presta oggi più attenzione ai suoni e all’impostazione tecnica, ma risulta spesso ingessato come il famosissimo “gatto di marmo”. In altre province si osa sicuramente di più, si sfruttano meglio le tecnologie e c’è un approccio più internazionale mentre la scena piacentina è tradizionalista e un po’ impantanata negli anni ’90. I gruppi di oggi, grazie anche ad internet, però si muovono di più, e abbiamo all’attivo diverse band che fanno tour in Italia e all’estero».

Un consiglio spassionato ai musicisti piacentini, specie i più giovani?
DG: «Siate originali, cercate un vostro percorso. Ascoltate, raccogliete, imparate da tutti e tutto. Ma trasformate e rielaborate ogni cosa. Non pensate al pubblico, né a un eventuale produttore o etichetta, ma a quello che avete da dire. Coltivate il talento e non il successo, spegnete la tv e andate ai concerti veri, vietatevi X Factor, Amici e amenità affini. Siate consapevoli della diversità e coltivatela, vivetela».
AB: «Andate e sparpagliatevi per il mondo. Basta fare cento prove e cinque concerti. Suonate fuori da Piacenza, all’estero, saltate il pranzo e anche la cena se occorre, e pure il sonno, ma uscite da Piacenza per favore. Non diventerete famosi e non farete un soldo che è uno, ma vivrete esperienze impareggiabili».
NC: «Suonate meno dal vivo sul territorio locale e valorizzate il vostro progetto. Soprattutto in quei contesti che non vi meritano.
E ascoltate di più. Andate in giro, ai concerti e nelle città per capire come muoversi con più consapevolezza dentro la vostra passione».

Perché Tendenze resiste nonostante i cambiamenti di forma attraverso cui è passato?

DG: «Perché è rimasto fedele ai principi di fondo, ad esempio il divieto assoluto delle cover. Perché i cambiamenti sono sempre stati graduali e il più possibile condivisi con i veri protagonisti che sono i gruppi.
Perché ha cercato di coinvolgere e convogliare tutte le “emergenze” creative del territorio unendo i linguaggi, dando spazi di libertà espressiva vera pagandone politicamente il prezzo quando ha impedito ingerenze, e perché è sempre stato gestito da persone che economicamente non si arricchiranno mai, pazzi idealisti che però sono ed erano credibili».
AB: «Perchè è un festival unico nel suo genere, ancora utile ed essenziale, che piace alla gente e ai giovani generazione dopo generazione (c’è chi ci suona oggi che ancora non era nato al tempo della prima edizione), perché è sopravissuto ai cambiamenti politici, alle critiche ignoranti, ai mutamenti generazionali e a quelli artistici. Lunga vita a Tendenze».
NC: «Resiste perché fa numeri, quindi serve. Ogni anno centinaia di band provano a suonarci e l’affluenza di pubblico è sempre ottima: non esiste in Italia un altro festival cosi. Trenta band emergenti contestualizzate e attrezzate al pari di proposte blasonate, questo è Tendenze, un festival importante anche se a farlo sono gli emergenti. In più, vive perché cerchiamo di rinnovarlo continuamente aggiungendo qualche piccolo tassello, non sempre accettato: ad ogni edizione cerchiamo la giusta formula e il miglior equilibrio restando al passo coi tempi».

Tre ricordi indelebili legati a una qualche edizione passata?
DG: «Il ponte di Porta Borghetto e il vallo stracolmi sin dalla prima edizione di gente di tutti i tipi e le età. Un’emozione fortissima a cui non mi sono mai abituato e che ci premiava di mesi di lavoro e sacrifici. Poi Duilio, il facchino ultrasettantenne degli impianti luce che l’ultima sera prima dello smontaggio saliva sul palco e cantava a cappella “Son tutte belle le mamme del mondo” chiudendo con il pubblico in delirio. Infine, il cantante diciassettenne di un gruppo metallaro che mi ha chiesto davanti all’assessore Bruschini se durante l’esibizione poteva tagliarsi il petto con una lametta: più che la sua domanda, indimenticabile fu il principio di svenimento della Bruschini dopo la mia risposta: “La vostra mezz’ora è la vostra mezz’ora”».
AB: «Alla fine della prima serata della prima edizione ci accorgemmo di non aver pensato alla sorveglianza notturna. Restai io, in auto davanti al palco, con un libro e l’autoradio sperando che non arrivasse nessuno: con il mio fisico e senza cellulare al massimo avrei potuto suonare il clacson. Nell’unica edizione che si svolse in via Millo, poi, constatata la vicinanza con le case mi premurai di contattare personalmente ogni vicino per spiegare l’iniziativa e rassicuralo che non avrebbe avuto particolare disturbo, lasciando il mio numero di cellulare per eventuali rimostranze: al primo colpo di batteria arrivarono valanghe di telefonate, non sempre gentili. Dopo un po’ fui costretto a spegnerlo, poi per fortuna piovve molto e il programma fu drasticamente ridotto. Infine, quell’anno, una discussione che stava degenerando tra il provocatorio gruppo de Le Croste e alcuni ragazzi irritati dallaloro esibizione, che fu placata
dall’intervento di una specie di Tyson che osservava la scena nel momento in cui capì che gli “aggressori” erano di Cremona. “Dei cremonesi non possono
creare problemi ad una festa di Piacenza” sentenziò, e la stazza e la muscolatura indussero tutti alla pace».
NC: «La nostra prima edizione del 2005. Avevamo tutti poco più di 20 anni e puntammo subito sui grandi nomi. Quel venerdì la stazione di Piacenza era piena di metallari da tutt’Italia, per Cripple Bastards, Raw Power e Necrodeath nella stessa sera. Poi la pioggia, e lo stop forzato. Un brutto colpo, utile a capire che cosa fa parte del gioco. Poi ricordo il Tendenze alla Cavallerizza con piacere, perché sfiorammo il rischio di saltare un anno e invece la risposta fu semplice ma efficace. Infine, nel 2008, il vocalist Spex degli Asian Dub Fondation assieme ai “nostri” dj Techfood che alle 3 di notte stava ancora facendo ballare centinaia di persone».

Infine, tre idee, sogni o progetti per il Tendenze del 2011.

DG: «Tornare sul palco della manifestazione a cantare nei cori di una nota canzone dei Transit VPS in cui si consiglia ad amici e nemici un noto luogo in cui
andare. Riuscire a mettere almeno in cantiere con Tony il libro sui primi 10 anni. E che Tendenze torni a Porta Borghetto e il bastione sopra diventi il centro permanente di aggregazione delle emergenze creative giovanili, capitanato dai nostri eroi di 29Cento».
AB: «Vedere sempre più nuovi gruppi con nuove idee, personalità, voglia e approccio “giusti”. Gente più curiosa, aperta e disponibile al nuovo, anche se non
necessariamente affine ai propri gusti. Ascoltare per imparare, per capire cosa c’è oltre al proprio genere preferito. Vedere un reale confronto, incontro e
scambio tra gruppi, musicisti, artisti, pubblico e spettatori.
Non possiamo più delegare nessuno al di fuori di noi stessi per crescere e cambiare un’Italia e un mondo che vanno sempre peggio. Come dissero gli Husker Du sull’album Warehouse: la rivoluzione parte ogni mattina davanti allo specchio del tuo bagno, intanto che ti fai la barba».
NC: «Nel 2011 Tendenze deve diventare anche invernale. Bisogna portare a Piacenza la musica alternativa. Ispirare le nostre band facendo vedere loro un po’ di “roba” nuova. Poi bisogna lavorare per trovare il modo di fare uscire i gruppi da Piacenza: sarebbe un sogno creare una rete importante con altre realtà. Infine, dati gli ottimi risultati delle sale prove comunali alla Cavallerizza, i numeri delle band presenti sul territorio e il riscontro che trova ogni anno Tendenze, il vero sogno rimane quello legato alla costituzione di un live club vero e proprio. A Piacenza non esiste un punto di riferimento live per le band, un posto dove suonare in condizioni ideali e dove poter sviluppare cultura ed aggregazione. Proprio i due ingredienti da cui Tendenze partì 15 anni fa».